Il libro si può ordinare in una libreria Feltrinelli o sul sito www.lafeltrinelli.it/



venerdì 27 maggio 2011

L'ARTE FUORI DI SE'. Manifesto per i nativi digitali (e non solo)



Amo andare nei musei di arte contemporanea di tutto il mondo. Mi diverte vedere gigantesche orecchie di pelle rosse alla Tate di Londra, foto di uomini che fanno la pipì su una sedia allo Stedelijk di Amsterdam, raffinate costruzioni di sabbia al Moma di New York. Ne traggo un certo godimento anche se fugace. In verità, però, mi emoziona di più constatare che dopo 3.500 anni, i gioielli della tomba di Tutankhamon siano rimasti ineguagliabili per bellezza e fattura. Me li immagino sul petto nudo di quel 13enne faraone d'Egitto o mentre siede sul suo trono tutto rivestito d'oro oppure mentre cammina a fianco della moglie con le mani rivolte verso l'esterno, come da iconografia classica. E poi mi incuriosisce sapere chi abbia scelto di mettere proprio quei gioielli nella tomba, la moglie o la madre?, e se abbiano veramente creduto che lui avrebbe avuto la possibilità di indossarli di nuovo. E ancora vedo, dopo migliaia di anni, la gioia incontenibile di Carter, l'archeologo che ha scoperto il sarcofago con tutti i suoi tesori. E la felicità e l'orgoglio del direttore del museo egizio nell'esporli. Insomma, mi faccio ogni volta un piccolo viaggio mentale.
Con le opere di arte contemporanea, tutto questo non è possibile. Sono oggetti artistici nati per essere esposti nei musei, e dove altrimenti? Metto la sabbia nel salotto poi entra la donna delle pulizie e butta via tutto. Per non parlare di un water o di un mobile di stracci (vedi Maxxi di Roma). Oggetti senza storia. Senza nessuno che abbia fatto sacrifici per acquistarli ed esporli nel salotto per vantarsene con gli amici. Sono “idee”: aggressive, divertenti, spiazzanti. Provocazioni per suscitare scandali o cercare complicità. Ed è un gioco al quale mi presto con piacere. Consapevole che qualcuno, non un raffinato critico d'arte ma un esperto di marketing , ha fatto un lavoro preliminare per me. Ha deciso che quel giovane strano, quell'artista, poteva sfondare a livello di comunicazione, che la sua presentazione era efficace, che con il giusto packaging, la pubblicazione in catalogo, la mostra in quella galleria molto chic e ben frequentata, poteva diventare un “nome”. Infatti io a questi eventi ci vado, a volte copio le idee e le realizzo con il mio bimbo di 6 anni. Potrebbe sembrare svilente nei riguardi dell'artista ma non vuole esserlo, in milioni hanno ricopiato la Gioconda, io mi accontento dei quadri fatti con i tappi della Guinnes.
Adesso però c'è un libro che scrive tutte queste cose senza pudori e anzi propone un' inversione di rotta: “responsabilizzare tutti: il pubblico, che deve trovare un rapporto più diretto e autentico con l'opera, e l'artista, che deve confrontarsi con le dinamiche sociali. E questa fatica del lavoro artistico deve trovare un corrispettivo nel rigore e nella profondità del lavoro critico e curatoriale”. Si chiama “L'arte fuori di sè” di Balzola, Rosa. Ve lo consiglio da madre. Si, perché nel libro c'è una sorta di manifesto per l'età post-tecnologica. Si parla di artisti plurali, quelli che agiscono in una rete di relazioni, spesso digitali. Persone abituate a far dialogare diverse percezioni del reale e del virtuale, come i nostri figli appunto: i “nativi digitali”. Voglio essere pronta anche per questo. Ve ne parlerò ancora...

lunedì 16 maggio 2011

Ma quale “sindrome da vuoto digitale”...

Articolo di mammeonline


"Mi sentivo solo e depresso e mi sono messo a fissare il muro. Dal mio punto di vista, è l'unica cosa che si possa fare oggi senza tv, pc o cellulare". Così termina, in maniera banalmente drammatica l’articolo di Repubblica sulla “sindrome da vuoto digitale” in cui sono stati resi noti i risultati di un test su 1000 studenti universitari di tutto il mondo lasciati senza tv, telefono o pc per 24 ore.  La sensazione è stata di solitudine, senso del nulla, privazione fisica.
L'analisi è interessante ma non ci sorprende minimamente. Qualsiasi privazione ci mette in uno stato di prostrazione.
Una concorrente di Uman, un reality-tamagochi di Italia Uno,  Ramona, è stata malissimo perché non le è stato consentito di fare la doccia per 4 giorni. Un'altra , Veronica, ha avuto una crisi di nervi per la mancanza di sigarette.
Un'altra ancora, Elena, è quasi scappata perché era stata privata dei trucchi ma nessuno ha parlato di “sindrome da vuoto cosmetico”. Eppure anche questa definizione potrebbe avere un suo certo appeal mediatico

Oggi solo quelli che non sono nativi digitali parlano di comunità virtuali. Per i ragazzi nati e cresciuti con  un computer sempre connesso distinguere gli amici reali da quelli virtuali è sempre più difficile e soprattutto non rilevante. Si tratta di relazioni. Che siano affettive, lavorative, ludiche o legate ad interessi in comune, sono sempre estremamente “vere”.
Il moderno paesaggio antropologico, determinato dai nuovi media, ha creato usi e costumi sociali completamente diversi rispetto al passato e ha generato nuovi bisogni. Tra questi c'è il bisogno di essere interconnessi, di partecipare ad una sorta di intelligenza connettiva, che è fatta di saperi ed esperienze messi in comune ma anche di emozioni condivise.
Sapere che si può contattare l'amico via messenger per fargli sapere che si è tristi  o voler convincere i propri amici tramite facebook a votare no al referendum non vuole certo significare che si hanno competenze tecnologiche avanzate. Vuole dire semmai che è cambiato il nostro modo di pensare, che abbiamo  più voglia  di condividere, di cercare un confronto, di avere un riscontro. Vogliamo far parte della Rete.
Scardinare improvvisamente questi riti di comunione e bloccare i flussi di informazione a cui siamo abituati genera certamente una sorta di straniamento e di malessere. Ma continuerei ad associare il termine “sindrome” ad un quadro sintomatologico diverso, magari legato a  malattie più serie.      Io preferisco l'espressione originale dell'esperimento: “the world unplugged” che sa più di spiaggia e chitarra classica.

Articolo di Maila Paone - Genitori di nativi digitali 


giovedì 5 maggio 2011

Insegnando ai nativi digitali...



Molti insegnanti mi chiedono in cosa consista esattamente la “partnering education”. E’ difficile spiegarlo in poche parole e poi preferisco le suggestioni del post... Oggi, per esempio, voglio tradurre dal libro di Prensky -“Teaching digital natives”- alcuni dei suoi consigli agli insegnanti. E poi, di seguito, ho provato a tradurre quei “partnering tip” in suggerimenti per i genitori che fanno i compiti a casa con i loro figli. Ecco quelli per i docenti.

  1. “Tieni un elenco delle passioni dei tuoi studenti e condividile con gli altri insegnanti. Cerca sul web suggestioni, idee, informazioni su queste passioni. Riscrivi la lista con il gruppo di insegnanti, arricchita dalle ricerche.”
  2. “Se l’anno prossimo inizi un nuovo ciclo, chiedi agli studenti cosa, secondo loro, potresti fare per migliorare l’insegnamento delle materie studiate.”
  3. “Comincia il corso spiegando bene agli studenti quale sarà il programma e chiedi loro come possono partecipare, con quale risorse e se riguardo certe materie hanno avuto esperienze positive o negative”.
  4. “Cerca di fare più domande possibili alle quali la risposta non sia immediata ma piuttosto qualcosa tipo Questa è una bella domanda!
  5. “Molti studenti non sanno che i ricercatori sono figure professionali ben definite. Se intercettate un interesse in una determinata materia contattate uno specialista e invitatelo in classe.”
  6. “Se gli studenti hanno competenze tecnologiche molto diverse, organizza momenti di incontro in classe in cui i più esperti possano insegnare ai meno esperti”.
  7. “Coinvolgi i tuoi studenti in una discussione di classe e chiedi: “Cosa rende delle domande più interessanti delle altre? Cos'è il ragionamento induttivo e deduttivo?” Verranno fuori molti esempi e tu tratterai di quelli che ritieni più interessanti.”

Per i genitori tradurrei così:

  1. Chiedete ai vostri figli quale siano le loro passioni. Probabilmente vi mostreranno un video di Fabrifibra su Youtube.
  2. Se una vostra punizione è risultata particolarmente indigesta ai vostri figli, chiedete loro, in un momento di tranquillità, cosa avrebbero fatto al posto vostro. Vi stupiranno.
  3. Se dovete mettervi a studiare geografia o scienze con i vostri figli cercate qualcosa nel programma che possa ancorarsi ai loro interessi e far loro capire come quella materia possa servire nella vita di tutti i giorni.
  4. Non fate sempre domande banali ai bambini. Loro sono più metafisici di quanto possiamo immaginare. Oggi, per esempio, mio figlio, mi ha chiesto quando gli scienziati riusciranno a fare qualcosa di umano come un'animale... Non sapevo bene cosa rispondere ed è stato bello.
  5. Se vostro figlio è appassionato di tennis (anche solo alla wii), invitate a casa il vostro amico tennista per condividere le emozioni delle ultime partite.
  6. Se l'amichetto di vostro figlio sa usare un programma di montaggio per fare i cartoni animati inviatatelo a casa per un pomeriggio davanti al computer. Per la partitella a calcio si fa sempre in tempo domani.
  7. I bambini ci chiedono sempre perché. Se cominciassimo a farlo anche noi con loro?

mercoledì 4 maggio 2011

In onda su Radio Capital

Intervista stamattina su Ladies and Capital per parlare di "Mamme al tempo di facebook".