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venerdì 26 novembre 2010

NATIVI DIGITALI spuri...

 

 

Da 0 a 12 anni, l'identikit dei veri nativi digitali

di Paolo Ferri su wired.it
 
Il dibattito recente su “nativi digitali” e “immigranti digitali” è piuttosto acceso. Ma esistono davvero i nativi? E chi sono? Il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età? Per capire meglio questo mondo è stato organizzato dall’università di Milano Bicocca il convegno Digital Learning. Scuola, apprendimento e tecnologie didattiche, il 18 e il 19 novembre a Cinisello Balsamo (Milano). E proprio al convegno verrà presentata la ricerca Digital Learning - La dieta mediale degli studenti universitari italiani, a cura del Gruppo NumediaBios e dell'università Milano Bicocca. Ciò che emerge dai nostri dati è chiaro: la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa, a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati. I nativi sono, infatti, una specie in via di apparizione, all’interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell’età e quindi dell’esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Dai dati del report di ricerca, emergono, infatti, tre tipologie differenti di nativi digitali, che segnano la transizione dall’analogico al digitale dei giovani nei paesi sviluppati:

a. I nativi digitali puri (tra 0 e 12 anni);
b. i Millennials (tra 14 e 18 anni);
c. I nativi digitali spuri (tra 18 e 25 anni).

Per polarizzare e rendere più esplicativo il ragionamento prendiamo in considerazione le differenze tra i due “estremi”, i nativi digitali puri e quelli spuri.

I nativi digitali spuri: gli studenti universitari
Che significa definire nativi digitali spuri gli studenti universitari? In realtà, i nostri dati dicono che navigano tantissimo in Internet, quasi tutti utilizzando la banda larga. Usano sempre più il cellulare prevalentemente per sms, foto e video (poco per navigare in Internet), non guardano quasi più la televisione, sentono poco la radio e purtroppo continuano a non leggere libri (men che meno ebook), se non quelli che studiano. Tuttavia il loro uso del Web è ancora “ molto analogico”, molto Web 1.0. Sono loro stessi a definirsi utenti di base del Web e solo il 21 per cento si definisce un utente esperto. Gli studenti universitari navigano molto, usano i blog e leggono quelli dei loro amici, ma meno nel 2010 che nel 2009, a causa come vedremo del fenomeno Facebook.

Il fatto è che la loro capacità di gestire i tools del Web 2.0 è stata un po’ sopravvalutata, da tutti noi immigranti che ci occupiamo di nuovi media. O meglio, oggi possiamo dire che sia stata proiettata su questa generazione di confine una serie di competenze digitali, una fluency e una literacy tecnologica che è propria solo dei più piccoli, i nativi digitali puri (0-12 anni).
Per esempio, gli studenti della Bicocca conoscono e usano poco strumenti di condivisione 2.0 anche molto elementari come Flicker, ma fanno molte foto con il cellulare. E più in generale conoscono e usano meno di quanto ci si potrebbe aspettare le piattaforme 2.0, per esempio You Tube, soprattutto per caricare materiali originali e autoprodotti. Leggermente migliore, ma si tratta di studenti universitari, l’utilizzo di Wikipedia e la creazione di contenuti su questa piattaforma bottom up di condivisione della conoscenza.

Analizzando questi dati, non ci si deve scoraggiare, quello che è successo è un errore di prospettiva, che ha portato a considerare questa tipologia di nativi come capaci di una cultura partecipativa che è, invece, propria solo dei più piccoli. I bambini nati dopo il 2000, cioè dopo la diffusione massiccia di Internet, la vera arma di costruzione di massa del nuovo millennio. Le corti tra i 18 e 25 anni hanno studiato in una scuola analogica, e hanno conosciuto la tecnologia tra gli 8 e 10 anni a casa o dagli amici, ma non l’hanno quasi mai usata in maniera nativa. Per esempio, dai nostri dati emerge in maniera chiara che Facebook, il fenomeno di questi due anni, è usato dai nativi digitali spuri in maniera “affluente” e “non proattiva”. Cioè Facebook ha fatto calare almeno nei 2/3 di questo gruppo la dimensione creativa e innovativa dell’uso del Web. Facebook è più immediato di un blog, e meno impegnativo di Wikipedia e YouTube.

Che conclusioni si possono trarre da questo ragionamento? I nativi esistono ma non sono tutti uguali, la contaminazione analogica del gruppo tra i 18 e i 25 anni è ancora molto forte, lo è molto meno presso i Millennial e tende a scendere a zero nei nativi digitali puri.

I nativi digitali puri
Se prendiamo in considerazione i bambini tra gli zero e il 12 anni, ci rendiamo conto che sono loro i veri nativi. Hanno un’esperienza diretta sempre più precoce degli schermi interattivi digitali - consolle per i videogiochi, cellulari, computer, iPod - così come della navigazione in Internet.
Nelle loro case e nelle loro camerette, infatti, i media digitali sono sempre più presenti insieme alle esperienze di intrattenimento, socializzazione e formazione che vengono mediate e vissute attraverso Internet e i social network, oltre che dalle consolle per videogiochi.

Henry Jenkins, già direttore del Comparative Media Studies Program presso il Mit di Boston e oggi Provost alla AnneNberg School of Communication della University of Southern California, definisce l’insieme di questi comportamenti come la nuova “ cultura partecipativa informale” dei nativi. “ La cultura partecipativa dà un forte sostegno alle attività di produzione e condivisione delle creazioni digitali e prevede una qualche forma di mentorship informale, secondo la quale i partecipanti più esperti condividono conoscenza con i principianti. All’interno di una cultura partecipativa, i soggetti sono convinti dell’ importanza del loro contributo e si sentono in qualche modo connessi gli uni con gli altri”, scrive Jenkins. I bambini tra gli 0 e 12 anni, sono, infatti, il primo gruppo veramente digitale. È ai loro comportamenti che dobbiamo guardare, più che ai comportamenti dei nativi digitali spuri, per capire il nostro futuro e per costruire un mondo che sia più accogliente per i nostri figli. Restano solo due domande: gli insegnanti i genitori e i decisori nel mondo della formazione sono consapevoli e attrezzati a gestire questa rivoluzione antropologica e cognitiva in corso? I politici e i decisori istituzionali sono consapevoli della distanza sempre più grande che separa gli stili di produzione e progettazione dei prodotti dell’industria culturale dai nuovi stili di fruizione dei nativi digitali? La risposta è aperta ma per parafrasare Philip Dick in UbikI nativi digitali sono vivi, noi stiamo... invecchiando”.


3 commenti:

  1. Non c'è dubbio. I nativi digitali puri,nonostante la loro tenera età, hanno tanto da insegnare ai nativi digitali spuri e soprattutto agli immigrati digitali. Che aspettiamo quindi? Togliamoci la maschera dell'orgoglio ed ammettiamo con semplicità che i nostri figli possono insegnarci ad arricchire le nostre competenze digitali più di quanto potremmo riuscire da soli esplorando in punta di piedi il loro universo interconnesso.
    Chiediamo una mano ai nostri piccoli, rendiamoci disponibili a conoscere il mondo tecnologico che abitano. Presto vorremo diventare cittadini di quel mondo. E ci sorprenderemo quando ci renderemo conto di essere diventati loro complici e compagni di viaggio.
    Pronti a partire per l'avventura?

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  2. Mi piace l'idea della "specie in via di apparizione"... è veramente difficile immaginare come evolverà nei prossimi 20, 50, 1000 anni!

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  3. Oggi ho scaricato un'applicazione per Iphone che scrive sotto dettatura e mi sono immaginata mio figlio che, in macchina, al rientro dal mare, dettava e inviava al suo pc il compito: "Cosa hai fatto nelle vacanze?". 3 minuti di discorsetto al telefonino, una stampata a casa e via: compiti fatti!
    Ma quale futuro? E' tutto già presente, eccome!

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